di Alessandro Nardone – “L’Isis è il virus, e noi siamo la cura”: comincia così, con una parafrasi di una delle frasi dell’epica stalloniana d’antan, il video con il quale Anonymous ha rilanciato la sua cyberguerra ai fiancheggiatori del Califfato, notoriamente adusi ad utilizzare gli innumerevoli mezzi di comunicazione disponibili in Rete per fare proselitismo, e ingrossare, così, le fila dei jihadisti disposti a passare dalla teoria alla pratica, organizzando i vigliacchi e criminali atti terroristici che, nostro malgrado, dall’11 settembre del 2001 ad oggi, sono entrati con una violenza inaudita a far parte del nostro vivere quotidiano. Una guerra dichiarata alla nostra Cività, quella Occidentale, checché qualcuno (troppi) ancora si ostini a dire, alla quale la Comunità di Anonymous ha deciso di rispondere coi fatti, sferrando un attacco senza quartiere a decine di migliaia tra siti, profili Facebook e Twitter, indirizzi VPN, caselle e-mail e siti web utilizzati per propagandare le farneticanti teorie dell’integralismo islamico.
L’hashtag #OpIsis è il nome della meritoria operazione lanciata da Anonymous, che annuncia che continuerà a dare la caccia a Isis ed ai suoi seguaci. Qualsiasi sia l’opinione che ognuno possa essersi liberamente formato sulla Comunità che ha come effigie la maschera di Guy Fawkes – che il grande pubblico ha imparato a conoscere grazie al cult movie V – per Vendetta – è impossibile non riconoscere ad Anonymous il grandissimo merito di dispiegare i propri mezzi ed il proprio know how per contrastare i criminali dell’Isis e, quindi, in difesa del principio che è (o almeno dovrebbe essere) il fondamento stesso della nostra società: la Libertà.
Per contro, è naturale domandarsi per quale ragione, a disattivare quei siti e quei profili social pericolosi, abbia dovuto pensare Anonymous e non le autorità preposte, a cominciare dall’Nsa che, come anche gli attentati francesi hanno dimostrato, qualche falla al loro interno dimostrano di averla.