di VIttorio Feltri – Bisogna reagire, caro Silvio. Fare qualcosa. Questo è il momento della verità, se ci sei, batti un colpo. Non corri alcun rischio. E poi l’anno prossimo, a giugno, si svolgeranno le europee e un seggio a Strasburgo non te lo toglie nessuno. Per schiodarti di lì ci vorrà altro che Borrelli e Davigo. Sei ricco, tranquillo, la giustizia ti bracca e non t’acchiappa. Ma sei anche il capo del Polo. Che ne diresti di muoverti? Cosa aspetti? Ce l’hai a morte con i trenta venduti dell’Udr, eletti nel centrodestra e trasferiti nel centrosinistra. Ti do ragione. Fanno ribrezzo, hanno preso in giro te e gli elettori, meriterebbero un coro di pernacchi eduardiani. Ma tu, caro Silvio, quali sforzi hai compiuto per trattenerli? Ti sei mai chiesto perché chi sta con te dopo un po’ si scoccia e se ne va, talvolta col nemico? Forse per disperazione? (…) Per organizzare il primo congresso di Forza Italia ci hai messo quasi quattro anni. Troppi. (…) La gente di fronte al dilemma: Berlusconi o gli altri, sceglie te per mancanza di alternativa. Non pensare di essere il migliore. Sei il meno peggio. Quanto ai collaboratori, agli iscritti che desiderano salire in vetta al partito, una volta consapevoli che la loro attività è gradita solamente se coincide coi tuoi interessi, beh, è normale che si stufino e cedano ai corteggiamenti degli avversari. (…) Non trattare Fini come un panchinaro. È cresciuto, non è più adatto a fare la riserva. Mandalo avanti e lasciagli spazio. Che sia lui a duellare in Tv, ha stoffa da spadaccino. Lo hai sdoganato ed è stata un’operazione intelligente, ma incompleta. Se pretendi di tornare a vincere, affidagli le redini del Polo. E tu accontentati di essere un’icona, il regista, l’onnipotente che regna. (…) La gente comprende le tue ansie giudiziarie, ma è afflitta dai problemi. Tu invece parli soltanto di manette e dei pm. Che palle.
Editoriale pubblicato su Il Messaggero del 21 ottobre 1998
Sbalorditivo, vero? Certo, queste parole risalgono a quattordici anni fa che, in politica, sono una vita intera, tuttavia i protagonisti della scena sono (ahinoi) sempre gli stessi. Esattamente come le loro questioni, che poi sono anche nostre. Insomma, il primo aspetto sul quale intendo soffermarmi – che poi è quello che si domanda la gente – è proprio questo, in altre parole, è mai possibile che la nostra classe politica, anziché occuparsi del bene comune, debba sempre arrovellarsi sulle stesse inutili discussioni? Insomma, quando il sottoscritto portava ancora i calzoni corti, gran parte dei politici attuali sedevano già in Parlamento. Ora, se perlomeno in tutti questi anni fossero stati in grado di fare qualcosa di buono, che andasse un pochino oltre alla cosiddetta ordinaria amministrazione, avremmo ben poco da eccepire. Ma, diamine, è mai possibile che oltre a non essere in grado di risolvere i problemi del Paese, i politici non riescano nemmeno ad organizzare i loro partiti? Prendiamo Berlusconi e Fini. Il primo ha molte qualità ma anche una certa propensione al despotismo, principalmente orientato alla difesa dei suo interessi.
Tant’è che, a distanza di quasi tre lustri, le parole di Feltri sono addirittura imbarazzanti per la loro estrema attualità. E sono pure ampiamente condivisibili. Se poi ci aggiungiamo il logoramento dell’immagine dovuto al bunga-bunga ed il sistema elettorale a nomina, il quadro si fa ancora più desolante. Questo dobbiamo avere il coraggio di dirlo con forza, anche pubblicamente, al diavolo la paura di essere additati per il reato di lesa maestà. Con altrettanta chiarezza va affrontato il capitolo Fini il quale, in quanto a despotismo e gestione personalistica del partito, non ha nulla da invidiare al suo ex alleato. Oltretutto, nel suo caso, ci sono due aggravanti: la prima è quella di aver sciolto un partito di grande tradizione come Alleanza Nazionale nel Pdl, nonostante fosse perfettamente consapevole dei pregi e dei difetti del Cavaliere. La seconda, invece, consiste nell’aver regalato – con i suoi incomprensibili e continui “strappi” – a Bossi ed alla Lega quei cavalli di battaglia di cui vi parlavo prima, ovvero le tematiche che erano da considerarsi come la ragione sociale della destra italiana. Detto questo, avremmo già abbastanza elementi per decretare un sostanziale concorso di colpe, da ripartire equamente tra Fini e Berlusconi.
Brano tratto dal libro La destra che vorrei, di Alessandro Nardone