di Alessandro Nardone – Il toto-Presidente impazza e, come sempre accade, ogni giorno l’elenco dei papabili, o presunti tali, s’infittisce dei nomi più disparati. Manco a dirlo, evidentemente non paghi del ventunennio segnato da Scalfaro, Ciampi e Napolitano – tutti di centrosinistra – della scoppola elettorale e della presa, con Boldrini e Grasso, di entrambi i rami del Parlamento, Bersani e compagni paiono seriamente intenzionati a sistemare al Quirinale uno dei loro uomini. I nomi che compongono la cosiddetta rosa sono, ormai, tristemente noti e vanno dai soliti Prodi, Amato e Bonino, passando per gl’impalpabili “centristi” Marini e Castagnetti. Di quest’ultimo, poi, si ha memoria unicamente per la celebre bestemmia che gli scappò qualche anno fa durante il congresso dei Popolari.
Da par suo, il centrodestra non ci sta, e ci mancherebbe altro. Anche da questa parte, i nomi sono sempre gli stessi: l’inflazionatissimo Gianni Letta, la new entry Marcello Pera ed il liberal Antonio Martino. Personalità rispettabilissime, intendiamoci, ma, per dirla con Berlusconi, prive di quel quid capace di garantire una svolta culturale, oltre che politica.
Fermo restando il principio che chiunque di loro sarebbe meglio dell’ennesimo Presidente di centrosinistra, personalmente ritengo che questa chance dovrebbe essere giocata non tanto per una mera questione di partigianeria politica ma, invece, in funzione di ben più alti e nobili scopi. Mi spiego. Questa classe politica – intesa come centrodestra e centrosinistra – in particolare, e l’intero sistema in generale, sono percepite dagli italiani (che ne hanno ben donde) alla stregua di entità dannose in quanto, anzichè migliorare la loro qualità della vita, l’hanno peggiorata. Si tratta di una semplificazione estrema, me ne rendo conto, ma perfettamenta aderente alla realtà, e l’exploit elettorale di Grillo ne è dimostrazione tangibile.
Ora, fatta salva questa premessa, va da sé che anche l’analista politico meno avveduto si accorgerebbe che, in questo particolare momento storico, mettere al Quirinale figure quantomeno controverse e, sopratutto, per diversi motivi, invise a gran parte del popolo come lo sarebbero Prodi ed Amato, sarebbe un errore madornale, il classico punto di non ritorno.
Già, ma perchè proprio Domenico Fisichella? Ve lo spiego subito. Anzitutto però, per sgombrare il campo da interpretazioni di bassa lega, voglio fare un paio di puntualizzazioni: la prima è che non conosco personalmente il Professor Fisichella e che, quindi, non lo sto endorsando per questioni di natura personale. La seconda è che non mi sta neppure simpatico e che, anzi, pur condividendo gran parte del malcontento dal quale era animato all’epoca, reputai il suo passaggio alla Margherita un vero e proprio affronto alla sua storia politica. Diamine, pensai, ma come fa, uno dei fondatori di Alleanza Nazionale, a passare alla corte di Francesco Rutelli? E non fui il solo, ovviamente. Poi venne il voto di sfiducia con cui contribuì alla caduta del disastroso governo guidato da Romano Prodi, seguito da un sostanziale abbandono della vita politica del Paese, uscendo di scena in punta di piedi, da grande galantuomo qual’è sempre stato.
La vita, però, sa essere davvero strana e, a volte, puo’ anche accadere che alcune decisioni evidentemente erronee, con il passare del tempo possano rivelarsi positivamente determinanti. Prendiamo il passaggio di Fisichella alla Margherita e, quindi, al centrosinistra. Nell’immediato gli ha sicuramente causato un danno ad immagine e credibilità, se non altro agli occhi di gran parte dei militanti e dei dirigenti del centrodestra, sottoscritto compreso, ma oggi, a distanza di otto anni, potrebbe finire col diventare la sua carta vincente in ottica Quirinale. Il perchè è presto detto, e riguarda essenzialmente due aspetti, a cominciare dalla sua terzietà, visto che ha fatto parte di entrambi i poli, per arrivare alla sua coerenza in difesa del principio (altissimo) dell’indivisibilità della Patria, visto che il suo passaggio allo schieramento avverso avvenne in funzione anti-devolution. Certo, non raccoglierà le simpatie dei leghisti, ma poco importa.
A questo particolare di non poco conto, va aggiunta la storia di Domenico Fisichella che, con due celebri articoli pubblicati su Il Tempo (uno è quello che ho utilizzato ieri l’altro per la mia provocazione), avviò il processo che portò alla svolta di Fiuggi ed alla nascita di quella destra finalmente moderna, e quindi definitivamente post-fascista, che fu Alleanza Nazionale. Discontinuità rispetto alla sinistra, quindi, e diritto di rappresentanza per valori che accomunano una fetta largamente maggioritaria del popolo italiano. Mica poco. Ovvio, da un presidente come lui non ci si potrà certo aspettare gli effetti speciali, ne sono consapevole, ma nemmeno la sua collusione con leggi o protagonisti della politica che possano anche solo lontanamente attentare al senso delle Istituzioni: ecco, credo che Domenico Fisichella, con quel suo modo austero e financo snob, potrebbe rappresentare quella figura seria, integerrima e rassicurante di cui l’Italia, oggi, ha più bisogno che mai.