di Alessandro Nardone – Tengo molto a quello che sto per scrivere, e lo dico in barba alla retorica. Certo, le parole vanno sempre pesate, ma esistono circostanze in cui dobbiamo concedergli il tempo necessario affinché possano germogliare, se davvero abbiamo intenzione che di loro rimanga qualcosa. Ebbene, per quanto mi riguarda, l’assoluzione di Francesco Storace è una di queste, ed ho intenzione di affrontarla da un’angolatura diversa, senza sentire il bisogno di avventurarmi – almeno questa volta – in una semplice valutazione di natura politica.
Faccio parte di una generazione, almeno quella che guarda a destra, che negli ultimi anni ha incassato un ceffone dietro l’altro. Credevamo ciecamente in Fini, e lui ha tradito i nostri ideali. Ci siamo illusi che Berlusconi, pur avendo radici diverse dalle nostre, potesse rappresentarli degnamente, quei valori, che fosse benzina nel motore del cambiamento, ma abbiamo aperto gli occhi, e quell’illusione si è presto tramutata nell’ennesima, cocente, delusione.
Noi, ragazze e ragazzi cresciuti con la militanza nel cuore, viviamo lo stesso stato d’animo di chi è stato derubato, scippato di qualcosa che, giorno dopo giorno, manifesto dopo manifesto, volantino dopo volantino, aveva contribuito a costruire.
Inutile girarci intorno: oggi, a destra come a sinistra, la politica fa schifo. Impossibile biasimare chi sceglie di mandarla a quel paese votando Grillo o, addirittura, non esercitando il proprio diritto al voto. D’altra parte il concetto è semplice, e mi riporta alla mente quando, da bambini, per aiutarci a comprendere che le bugie hanno le gambe corte, ci raccontavano la storiella del bambino che, a furia di gridare “al lupo, al lupo”, non veniva più creduto da nessuno.
Oggi, come nel 1993, la nostra classe politica si trova – a sua insaputa – nella stessa situazione di quel bambino fanfarone, a cui la gente non credeva più. Non ci sono santi che tengano.
Beh, in un quadro desolante come il nostro, avere un punto di riferimento come Francesco rende sicuramente orgogliosi. Soprattutto se pensiamo alla grande signorilità con cui ha sempre affrontato questo vero e proprio calvario. Sì, avete letto bene, perché Francesco, anziché parlare di toghe rosse, ha sempre detto di rispettare il lavoro della magistratura e, soprattutto, invece di attaccarsi agli ormai celebri tre gradi di giudizio, non ha esitato un solo istante a mollare la poltrona da ministro, senza nemmeno aspettare che gli venisse notificato l’avviso di garanzia.
Ha avuto, insomma, la forza di anteporre gl’interessi della nazione e dell’istituzione che rappresentava in quel momento alla sua, peraltro fondatissima, convinzione d’essere innocente. Questo, signori, è quello che si dice un vero uomo di Stato, altro che balle.
Concedetemi, infine, un’ultima riflessione, un pensiero che voglio rivolgere a Francesco, non nella sua veste di Segretario de La Destra, ma in quella di uomo e padre di famiglia. Ecco, in una società arida e priva di buoni esempi come è la nostra, sono assolutamente certo che sua figlia abbia, in casa, l’esempio migliore possibile da seguire. Dico questo perché, come lei, anch’io sono un privilegiato, nel senso che ho dei genitori che sono, per me, delle vere e proprie stelle polari.
È da qui, credetemi, dai buoni esempi come quello di Francesco e dei nostri genitori che la politica deve ripartire dimostrando, con i fatti, di non essere tutta chiacchiere e distintivo.