di Matteo Gianola – Il risultato delle elezioni siciliane non può permettere dichiarazioni trionfalistiche da parte di nessuno: non ha vinto Crocetta, non ha perso Musumeci, l’unica vera novità sta nell’affermazione del Movimento 5 Stelle e l’affermazione, come maggioranza assoluta, del non voto. Questo è il punto saliente della tornata elettorale: per la più parte dei siciliani chiunque avesse vinto non sarebbe stato importante, perché nulla sarebbe cambiato, al più pareva interessante la carica nichilista e dirompente dei seguaci di Beppe Grillo. Il vero risultato? La “Caporetto” della politica e l’immagine della rassegnazione al declino del sistema Stato.
Inutile riportare dati, visto che oltre il 52% dei siciliani ha preferito non votare e che, dall’analisi ponderata dei risultati, le forze di centrodestra restano, pesantemente, in maggioranza relativa ma che, divise, hanno portato alla vittoria del candidato di una coalizione peculiare, formata da PD, UdC e da alcuni membri di FLI come Fabio Granata, che ha preso oltre 200.000 voti in meno rispetto alla tornata del 2008. Unica forza che ha visto crescere i voti è stato il M5S con un lusinghiero +850%, in termini reali, rispetto alla lista “Amici di Beppe Grillo” suo predecessore che si presentò quattro anni fa.
Possibile che questo trend possa riflettersi a livello nazionale?
Possibile che Lombardia e Lazio siano i primi “pesi massimi” a scontrarsi con un risultato “siciliano”?
Lo scenario è assolutamente plausibile, lo scoramento degli elettori di centrodestra, vittime di vent’anni di promesse bruciate, la paura degli elettori di centrosinistra, che si prosegua nella politica distruttiva del Governo Monti che, a fronte di una spesa pubblica crescente, contrappone aumenti continui a livello impositivo e tagli pesanti a livello di welfare, inspiegabili, ovviamente, visto il livello di PIL intermediato dallo Stato, non fa che rendere più che probabile un massiccio astensionismo da parte degli elettori. Inutile il richiamo alla partecipazione, inutile lo slogan “se non voti non scegli”, la sensazione più diffusa è che chiunque vada al potere non possa fare, o peggio non voglia fare, nulla e che tutto andrà come sempre… la rassegnazione dello status quo, quella cultura che si è diffusa negli ultimi decenni di disimpegno e di paura di esporsi che ha minato il ricambio generazionale da più parti richiesto ma che, probabilmente, nessuno vuole sul serio.
Che fare?
Ci si potrebbe chiedere citando Lenin (strano su queste pagine)…
La soluzione sarebbe quella del salto generazionale, basta pensare che i 40enni dei primi anni 2000 possano rappresentare la novità, occorre che quella che io chiamo la “generazione cacciata” o, oggi, la “generazione choosy”, per citare il ministro Fornero, riprenda coscienza del suo peso, del suo valore e che, con forza, pretenda di far sentire la propria voce. Questa è la sfida, una battaglia che occorre combattere, per evitare il declino della Nazione, aldilà dei programmi economici di Oscar Giannino e colleghi che, sì, hanno un valore assoluto, indispensabile, nel progetto di rilancio del Paese ma che, senza una vera coscienza collettiva e individuale del valore delle persone e del loro impegno anche nella gestione della Cosa Pubblica, saranno solo dei tamponi in una situazione bloccata e che deve evolvere.
Riforme e nuove menti, questo è quello che l’Italia necessita ma che, senza il capitale umano, sarà impossibile ottenere.
Ora di lottare e di partecipare? Questo è il momento.