Thursday 21st November 2024,
IL DESTRO // Idee che ti mettono al tappeto

Francesco Storace presenta “La destra che vorrei”

Francesco Storace presenta “La destra che vorrei”
La convinzione prevalga sulla convenienza. E’ una ragione di vita, che ha costellato la mia attività politica e sono felice di aver conosciuto tempo fa Alessandro Nardone, che a quella tesi – che e’ bandiera, pratica, percorso – ha praticamente dedicato un libro che coniuga cultura e innovazione nella coerenza di valori incancellabili.
Esordisce scrivendo «io non sono nessuno» e invece è ciascuno di noi. Sangue e testa, passione e raziocinio. Quando mi ha offerto l’onore di scrivere la prefazione di questo libro ho improvvisamente scoperto la “vecchiaia”: a 55 anni mi sono commosso e scorrerne le pagine mi ha emozionato. Perché in questo Autore ritrovo – non me ne voglia Alessandro – un pezzo di me stesso, e non solo per i comuni natali di Cassino, anche se lui è finito poi nella povera Lombardia.
A Como nel 2002 ricevette la fiducia di duecento concittadini che lo chiamarono a rappresentarli in Comune. Attivissimo in consiglio ma come capita, non fu rieletto. In politica succede, fatichi come un matto per rifare la destra e ti sbattono in faccia uno 0,6 alle politiche sette anni dopo che fa ancora male.
Ci siamo trovati sulla rete e ne e’ nato un bel rapporto. Divieto di leccaculismi e’ la password tra noi.
Non e’ un estremista, se fosse un pittore dipingerebbe un forcone per simboleggiare la sua rabbia verso Berlusconi e Fini, distruttori di un patrimonio elettorale che piaceva a lui e non a me. Il libro comincia con la solita balla a cui dovrei essere abituato ogni volta che mi imbatto nella lettura di Nardone, questa volta il resoconto di un comizio di Fini che non ci fu mai: l’invenzione del trionfo di An alle europee 1999, l’elefantino. Fu un fiasco clamoroso con una percentuale che però oggi ci sogneremmo… Allora puntavamo a superare Forza Italia, adesso stiamo a raccogliere briciole dalla Lega. (Refuso: stanno!).
Nardone frusta. E ripesca Feltri edizione ’98: «Silvio, ti sei mai chiesto perché chi sta con te dopo un po’ si scoccia e se ne va?». Mettice ‘na pezza, si dice a Roma… Despoti sia Berlusconi che Fini, con il rimpianto di veder sciolta invano An da quello che ne era il capo assoluto. Di Fini, Nardone ha un giudizio durissimo, lo paragona per stramberie di idee che lo hanno caratterizzato nell’ultimo tratto di sua leadership al Rauti che pure aveva combattuto.
Ma anche Berlusconi ne esce male: da leader amato a personaggio che non perdona chi ne ostacola più gli interessi che valori. Alzi la mano chi, pur volendo un gran bene a Silvio, dissente da quanto leggerà nel libro. Mi fermo qui nella descrizione perché questa ha l’ambizione di essere una prefazione e non una recensione giornalistica.
E voglio dire che di giovani così ne abbiamo bisogno. C’è una schiera di nuove leve che vanno accompagnate nei luoghi più impegnativi della politica, dando loro la possibilità di dar vita ad un Manifesto di valori che non rappresenti qualcosa di indicibile nella modernità del tempo che scorre, e poi siano essi stessi a realizzarlo concretamente dove si troveranno a rappresentarci. Ma davvero pensiamo che il renzismo lo contrastiamo con gli ultracinquantenni in prima fila? Accontentiamoci della prima linea, della trincea del combattimento nelle piazze e chi se ne frega del Palazzo.
Vorrei una legge così: tieniti il vitalizio ma non tornare più in Parlamento, che ora serve gente nuova che sappia però che vuol dire rappresentare me, te, noi, voi, tutti.
Guarda un po’: a me piacerebbe fare il consigliere comunale e se proprio dovessi scegliere tra base e altezza me ne andrei in Europa a costruire una destra da Lisbona agli Urali, partendo dalla cultura che sale silenziosa dalle nostre cattedrali. Ma Roma rischia di andare ai Salvini di turno, a quelli che non credono ad una sola parola di quelle con cui ci imbambolano in tv, se non cambiamo radicalmente il modo di stare a destra, con dignità e davvero senza paura. Alessandro Nardone ci offre un sogno rispetto all’incubo che soffriamo ogni giorno. Il vilipendio e’ alle nostre idee, se non ci muoviamo, altro che Colle…
Sono un condannato, caro Alessandro, e apprezzo che il tuo inno alla legalità che andiam cercando lo abbia voluto far precedere da un mio scritto: quella sentenza su Napolitano, in effetti, ha più il valore di una medaglia che di una pena, stando ai commenti che ho letto e che non mi aspettavo. Ma c’è troppo marcio da spazzare via, e lo può fare solo chi dal potere e’ rimasto immune. La mejo gioventù, ma per favore togliendo di mezzo anche quei trentenni e quarantenni che cambiano casacca se non comandano loro. Anche il sacrificio e’ un valore.
Mettiamocelo in zucca: senza valori, in politica ci sono solo affari. Diventa un mestiere per campare. Io sono felice da quando ho Il Giornale d’Italia: sono stato otto anni e non trenta in Parlamento, manco da quei luoghi dal 2008, ma credo di essere più popolare di tanti onorevoli attuali senz’arte ne’ parte. Dice: hai fatto il governatore? E quanti si ricordano, in Italia, chi e’ Enzo Ghigo? Eppure, e’ stato un bravissimo presidente del Piemonte e parlamentare per più legislature. Per non parlare del limbo dei ministri perduti…
Voglio dire che si fa politica anche con un giornale, con un libro, con una radio, con un inno, con un film. E lo racconta proprio questo testo. L’importante è essere veri, se stessi, mai fingenti. Cantanti di una storia e non cantastorie. Una storia di Patria e non di moneta. Appassionati, coraggiosi, persino scorretti con chi se lo merita: una destra così la sogno da anni. Mi manca terribilmente con la sua capacità di suscitare emozioni.
In una parola, latita una comunità, il suo senso di appartenenza e militanza, la bandiera di cui tornare ad essere orgogliosi. Dobbiamo dire o no che una persona conta più del prodotto interno lordo? Che una famiglia non e’ una scoperta scientifica da selezionare? Che se c’è un pianeta sterminato chi ha di più deve investire dove hanno di meno perché da noi non ci si entra più? Ancor più chiaro: sono felice se da italiano posso andare in Africa; sono triste se un africano deve venire qui. Soprattutto se a differenza di prima, il pezzo di pane che vorrei offrirgli in segno di civiltà, devo sottrarlo a mio figlio: resta a casa tua.
Sarà irriverente, ma e’ la realtà. Cruda, profonda, onesta.
E comunque se e quando torniamo al potere regaliamo questo libro ai nostri ministri. Giurino pure sulla costituzione, ma amino un po’ di più patria e cultura. Ne uscirà fuori un gran bel popolo. Poi, se il programma che Nardone tira fuori nel penultimo capitolo spaventa un po’, qualche emendamentino si potrà pure presentare….
Ridacci la destra, non toglierci le correnti. Anche se i capelli sono sempre di meno, era così bello tirarseli.
Francesco Storace, pregiudicato

 

Una penna sferzante, che non fa sconti a nessuno

Ogni capitolo è un fotogramma di un’epoca, un fermo-immagine su cui giocare con le parole: un po’ della “destra che fu” e lo sguardo al domani

“Il pregiudicato”, un bel romanzo pieno di colpi di scena in un’ambientazione affascinante, tra strani riti e misteri. “Ti odio da morire”, ancora un romanzo: sulla copertina campeggia un bel primo piano di donna. Sono alcuni dei lavori letterari di Alessandro Nardone, giovane scrittore dallo stile fluido e gradevole, dalla penna fine, che cattura l’attenzione del lettore.

Questo “La destra che vorrei”, di cui il direttore Storace firma la prefazione, è invece un pezzo di vita e un pezzo di storia. Intanto, Nardone mantiene il suo tocco elegante ma non fa sconti a nessuno, ricorda ma senza nostalgismi, centra il bersaglio con stile ma anche con una certa determinazione, e se dentro il suo mirino ci sono personaggi come Fini o Berlusconi non fa differenza: scocca la freccia e va, colpisce, affonda. Non ha peli sulla lingua, Nardone. Non ci sono ambiguità in questo scritto che, quando si comincia a leggere, lo si divora in una notte. È tutto perfettamente chiaro e diretto, vero anche a costo di essere amaro. E anche quando è amaro, all’autore non pesa scriverlo e al lettore non pesa leggerlo, le parole scorrono via come olio, una pagina dietro l’altra.

Un bel lavoro, sottile al punto giusto, sferzante quando serve, una fotografia si potrebbe dire. Si, perché Nardone fissa alcune immagini, alcuni momenti. Leggere alcuni passi fa lo stesso effetto di quando si rinviene una vecchia foto che non ci capitava tra le mani da un po’ di tempo, e ci si ritrova a dire: “Toh, ma guarda… eravamo così … ma te lo ricordi Tizio? E ti ricordi cosa disse Caio?”. E alcune volte capita anche di riflettere su cose dette, scritte, anche tanto tempo fa, e pensare che per molti aspetti siano state scritte ieri. Fa un po’ questo effetto, il volume di Alessandro Nardone. E costituisce l’occasione per qualche riflessione, che non fa certo male.

Il libro “La destra che vorrei” è ordinabile in qualsiasi libreria (Mondadori, Giunti, Feltrinelli, Ubik ecc.) oppure direttamente qui: http://www.youcanprint.it/youcanprint-libreria/didattica-e-formazione/la-destra-che-vorrei.html

Emma Moriconi

Leggi l’articolo su Il Giornale d’Italia

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