di Alessandro Nardone – Il 12 febbraio 1882 la città di Milano inaugurava una lapide alla memoria di Amatore Sciesa, nello stesso luogo ove egli avrebbe pronunciato le famose parole: la lapide, a causa della trasformazione edilizia di quel quartiere, non è più sulla casa dove fu originariamente collocata ma è stata messa sulle pareti di cinta della Banca d’Italia. Nei giorni più tristi del terrore austriaco in Lombardia incontriamo l’eroica figura del popolano milanese Amatore Sciesa, di professione tappezziere, arrestato una notte a Milano mentre affiggeva un manifesto rivoluzionario; fu condotto in giudizio e condannato alla forca. Si narra che mentre lo conducevano al supplizio il capitano delle guardie gli andasse sussurrando all’orecchio di rivelare i nomi dei suoi complici, promettendogli salva la vita, molti denari e, quasi a rendere più forte la tentazione, dette ordine che la carretta che trasportava il prigioniero si fermasse davanti alla sua casa. Il povero martire pare avesse semplicemente risposto: «Tiremm innanz».
14 aprile 2004, Iraq: Fabrizio Quattrocchi, italiano preso in ostaggio da una banda di criminali, prima di essere vilmente assassinato ha detto ai suoi carnefici: «Vi faccio vedere come muore un Italiano». Fabrizio non era un militare, qualcuno ha detto – con spregio – che era solo un mercenario a cui è andata male. Io credo, al contrario, che quelle parole pronunciate nel momento più cruciale della vita di un giovane uomo allorché sta per affrontare una morte ingiusta siano un grande esempio di eroismo e di amor patrio. Un attaccamento alle proprie origini che solo la gente semplice sa ancora sentire, gente che si commuove quando ascolta l’Inno di Mameli e si riempie d’orgoglio quando vede sventolare il Tricolore. Fabrizio, come tanti giovani italiani e non, si era recato in Iraq in cerca di fortuna con un lavoro di guardia privata, a casa aveva lasciato i genitori ed una giovane fidanzata.
Il sogno di questo ragazzo era quello di raggranellare una modesta cifra che gli permettesse di metter su famiglia. Non è più tornato vivo, solo a distanza di quaranta giorni sono stati restituiti i suoi resti martoriati. Non so se Fabrizio fosse di destra o di sinistra, sarebbe vile sfruttare per bassi calcoli politici la sua morte. Io dico soltanto: Grazie Fabrizio, con il tuo orgoglio ed il tuo coraggio ci hai insegnato che esistono dei giovani come te che credono in quelli che sono i principi fondamentali per i quali un uomo deve avere il coraggio di lottare e cioè la famiglia, la Patria, la propria Identità religiosa e culturale. Le tue parole resteranno nella storia d’Italia come quelle di Amatore Sciesa e, ogni volta che qualcuno le ricorderà, o qualche insegnante spiegherà il tuo gesto ai suoi alunni tu sarai li presente insieme a loro e vivrai nel ricordo di migliaia e migliaia di giovani che, ascoltando la tua storia, avranno un moto d’orgoglio di sentirsi Italiani. Nonostante tutto.