di Alessandro Nardone – Dalle nostre parti, dici Datagate e pensi Stati Uniti. Errore madornale, figlio di quel neanche tanto velato menefreghismo con cui, in Italia, siamo portati ad approcciarci alle notizie di politica estera, fatti logicamente salvi i casi in cui questi non riguardino direttamente i nostri conti in banca. Argomento sul quale potremmo aprire una discussione infinita, ma che non è quello di cui intendo parlarvi, almeno oggi. Questa premessa per arrivare al punto, ovvero che l’errore sta nell’approcciarci alle notizie riguardanti lo scandalo Datagate come se fossero fondamentalmente gatte da pelare altrui mentre, al contrario, per dirla con il celebre Morpheus di Matrix, “Il Datagate è ovunque, intorno a noi”.
Interpretazione eccessivamente fantasiosa e quindi poco realistica? Sono convinto di no, e di seguito cercherò di spiegarvi i perché. Anzitutto cominciamo con l’osservazione apparentemente più banale e che forse, proprio per questo, in molti tendono a sottovalutare: carte di credito, smartphone, social networks. Oggi come oggi è possibile sapere tutto di tutti. Dove ci troviamo, cosa mangiamo, come spendiamo i nostri soldi, cosa diciamo: è tutto tracciabile e quindi tracciato. Da qui scaturisce il primo paradosso, e cioè che quegli stessi strumenti che ci rendono liberi siano, al contrario, utilizzati per controllarci come non mai prima ad ora. Ed il controllo, si sa, fa rima con potere.
D’altra parte se, nel corso di una conferenza stampa tenutasi lo scorso 7 gennaio alla Casa Bianca, lo stesso Presidente Obama è arrivato a dichiarare pubblicamente che, nonostante la fuga di notizie sull’attività spionistica della National Security Agency: “La nostra intelligence continuerà a spiare i governi di tutto il Mondo, lo facciamo per conoscere le loro intenzioni, per motivi di sicurezza. I nostri alleati, però, possono stare tranquilli perché noi siamo dei partner leali.”, è facilmente deducibile che, se riescono a spiare la Merkel e Cameron, ascoltare ciò che ci diciamo noi comuni mortali è, per loro, ancor più semplice di un gioco da ragazzi.
Ché, poi, in casi complicati come questo il rovescio della medaglia c’è sempre e, nello specifico, è rappresentato dai “motivi di sicurezza” a cui si riferiva Obama. Vero, verissimo, molte delle misure prese dagli Stati Uniti dopo il colpo al cuore subito l’11 settembre duemilauno sono servite a sventare altri attentati ma, passando al setaccio le dichiarazioni di Edward Snowden, dalle quali emerge sostanzialmente il concetto di cui scrivevo poc’anzi, le domande che sorgono spontanee sono: qual è il confine tra giusto e sbagliato? Fino a che punto un governo nazionale ha il diritto di limitare la libertà individuale?
Intendiamoci, ben venga ogni strumento utile a stanare terroristi, ma il punto non è questo. Trovo, infatti, assolutamente lecito che ognuno di noi s’interroghi sul potere pressoché sconfinato che il governo statunitense ha tra le mani e su come effettivamente lo utilizzi. Questione che, evidentemente, devono essersi posti anche in Germania, visto che lo scorso 10 luglio il governo targato Merkel ha deciso – fatto senza precedenti – di allontanare il capo della Cia di stanza a Berlino.
In questi giorni si parla apertamente dell’esistenza di un “nuovo Snowden”, ovvero un’altra talpa pronta rendere pubblici documenti top secret riguardanti l’attività di spionaggio americana. Per come la vedo – avendo studiato per parecchi mesi le dinamiche (ed anche le lotte) interne alle agenzie d’intelligence a stelle e strisce – dietro ad ogni nuovo Snowden potrebbe nasconders un segmento di quegli stessi servizi segreti pronto ad organizzare e quindi utilizzare le fughe di notizie pro domo sua. Insomma, che tra Cia e Fbi la competizione ci sia sempre stata, e che sia pure accesa, non è certo un mistero, e che talune lobbies siano pronte a tutto, pur di scalare il potere, idem.