di Alessandro Nardone – Per chi, come me, è cresciuto vivendo in prima persona l’esperienza di una militanza politica di stampo identitario, intervistare Alain De Benoist, oltre ad essere un vero è proprio privilegio è, senza alcun dubbio, un’occasione di crescita. Archetipo del ribelle non fine a se stesso e che, per questo, si astrae da qualsivoglia forma di ribellismo generalista tout court ha avuto, sin dagli anni settanta, il merito d’influenzare ed orientare il mondo della destra europea attraverso le feconde riflessioni portate dal movimento culturale Nouvelle Droite. Da sempre critico nei confronti dell’Europa delle banche e dei poteri forti e, di conseguenza, fervente sostenitore del primato della politica sull’economia, ha recentemente pubblicato il suo ventisettesimo libro, il cui titolo sintetizza perfettamente la sua linea di pensiero: «Sull’orlo del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro».
Con lei, Alain, sul Giornale d’Italia diretto da Francesco Storace, continuiamo l’approfondimento del «Manuale della Sovranità ». Partirei chiedendole quali sono, a suo giudizio, le principali cause del fallimento dell’Europa.
La costruzione dell’Europa è stata fatta, fin dall’inizio, senza un minimo di buon senso. Anziché dalla politica e dalla cultura, si è partiti dal commercio e dall’industria. Invece di costruire l’Europa dal basso, vale a dire, partendo dalle regioni e dalle nazioni, applicando il principio di sussidiarietà, hanno preferito un’impostazione verticistica che parte dall’alto, conferendo il potere ad un’autorità tecnocratica, la Commissione europea di Bruxelles, che non ha alcuna legittimità democratica. Successivamente, l’Europa ha pensato bene di ampliare i suoi confini, includendo i paesi liberati dalla tutela sovietica, che erano solo ansiosi di mettersi sotto la protezione degli americani. Infine, la gente non è stata quasi mai coinvolta nelle varie fasi della costruzione europea (le poche volte che il popolo è stato consultato, ha espresso un parere negativo che, ovviamente, non è mai stato tenuto in considerazione). Il risultato è che l’Unione europea oggi è una via di mezzo tra il senso d’impotenza e la paralisi. Ci siamo messi alle spalle un quarto di secolo in cui l’Europa è stata vista come la panacea per risolvere ogni male. Oggi l’Europa stessa è diventato un problema che è andato a sommarsi a tutti gli altri. Le cose si sono aggravate di recente, a causa della crisi finanziaria globale. L’introduzione dell’euro ha favorito, non una convergenza, ma una divergenza tra le diverse economie europee. La crisi del debito privato si è trasformata in crisi del debito pubblico, in seguito alla decisione da parte dei governi occidentali d’indebitarsi pesantemente per salvare le banche. L’Europa si è così trasformata in una nave che ora rischia seriamente il naufragio.
Crede che, allo stato attuale delle cose, il progetto dell’Europa dei popoli sia destinato a rimanere un sogno?
Perchè il sogno dell’Europa dei popoli non svanisse, la gente sarebbe dovuta tornare ad essere protagonista della vita politica. Purtroppo non è mai accaduto. Le persone vivono proiettate nell’orizzonte della fatalità. Percepiscono il continuo declino del loro potere d’acquisto, l’aumento della disoccupazione, le condizioni di vita che si deteriorano ma, nonostante tutto questo, hanno perso ogni senso di azione collettiva. Si aspettano giorni migliori, senza rendersi conto che la crisi peggiorerà. Vi è in loro come una perdita di energia, una generale tendenza alla depressione. Hanno interiorizzato l’idea, continuamente ripetuta dai politici e dai media secondo la quale, in ultima analisi, non vi sarebbe alcuna alternativa alla società di oggi. L’evoluzione delle cose sta dimostrando il contrario.
Parliamo del principo di Sovranità. Secondo lei, come dovrebbero agire i governi dei singoli stati, per riconquistare quote di Sovranità nazionale?
Recuperare la sovranità nazionale, significa in primo luogo riaffermare il primato della politica sull’economia e la finanza. I modi ci sono, come la nazionalizzazione delle banche per la creazione di un protezionismo comunitario efficace, attraverso la modifica dello status di banche centrali. Esse dovrebbero essere in grado di prestare soldi agli Stati, senza interessi o con tassi di interesse molto bassi, come era di prassi prima del 1970. La decisione di vietare alle banche centrali di prestare soldi agli Stati li ha posti in una vera e propria condizione di dipendenza dai mercati finanziari, che quindi possono imporre le loro condizioni. Il problema è che questo richiede una precisa volontà politica, che ora è completamente assente.
In Italia la democrazia è stata sospesa, infatti ci avviamo alle elezioni dopo essere stati governati per oltre una anno da tecnici non eletti dal popolo, guidati da quel Mario Monti che è diretta emanazione dei cosiddetti poteri forti. Qual’è la sua opinione a riguardo?
Uno degli effetti più caratteristici della crisi attuale è l’avvento al potere, non solo in Italia ma anche in Grecia, in Spagna o in Inghilterra, dei rappresentanti delle banche e dei mercati finanziari, vale a dire di coloro che hanno la completa responsabilità del crollo della nostra economia. Affidare la gestione degli affari pubblici ai rappresentanti di Goldman Sachs e Lehman Brothers, è stato come mettere a capo dei pompieri i responsabili dell’incendio doloso! L’unica politica che sono in grado di attuare è quella di far pagare ai ceti medio-bassi il conto della crisi. Le politiche di austerità che hanno messo in atto, altro non sono che un modo per annullare le conquiste sociali che erano state raggiunte attraverso più di un secolo di lotte sociali. Queste politiche sono destinate a fallire: la riduzione del potere d’acquisto pesa sulla richiesta, rallenta l’attività economica, genera un aumento della disoccupazione e la riduzione delle entrate fiscali. I deficit non stanno diminuendo. Per ripianarli, bisognerà continuare a pagare gli interessi sul debito per ancora molto tempo. Gli Stati sono strangolati da un sistema di usura.
Un’ultima domanda : come giudica l’attuale situazione della destra italiana e crede che sia nel novero delle cose possibili un parallelo, in termini di consensi, con il Front National di Marine Le Pen?
Non mi sento in grado di dare consigli politici agli Italiani. Inoltre, non mi aspetto grandi cose dai partiti. In Francia, il Fronte Nazionale ha avuto il merito, per qualche tempo, di criticare con forza la logica del capitalismo neoliberista, ma è anche un partito giacobino molto ostile verso l’Europa in tutte le sue forme, il cui unico vero cavallo di battaglia è la lotta all’immigrazione. Non sono sicuro che sia un esempio da seguire.
Leggi l’intervista su Il Giornale d’Italia del 28 dicembre 2012