di Alessandro Nardone – Apri il suo sito internet e ti trovi di fronte agli occhi una frase a caratteri cubitali: “Noi italiani sappiamo sempre fare la differenza”. Già questo basterebbe per comprendere quanto rappresenti, per il Campione Olimpico Daniele Molmenti, il senso d’appartenenza alla sua, alla nostra Patria. Classe ’84, friulano, studente in giurisprudenza ed una passione sfrenata per lo sport – che gli è valsa l’oro a mio modo di vedere più bello tra gli otto conquistati dalla spedizione azzurra a Londra 2012 – Daniele ha conquistato tutti grazie alla sua simpatia e, soprattutto, ai valori che lo animano e che, con umiltà e discrezione, lascia trasparire. Da qui nasce l’idea di quest’intervista che è l’opportunità, a mio modo di vedere, di conoscere meglio un Campione che non s’atteggia a personaggio e che, anziché dalla smania di apparire, è animato dalla passione per ciò che fa e per le cose in cui crede. Una mosca bianca? Mi rifiuto di pensarlo, se non altro perché, grazie a Dio, nel mondo reale ho la fortuna di conoscere molte ragazze e ragazzi animati dallo stesso spirito di Daniele mentre, per contro, è di tutta evidenza che l’effimero mondo dello showbiz sia in grado di offrire unicamente modelli vuoti e negativi.
Così, anziché cominciare con la tua impresa di Londra, vorrei prendere la rincorsa e partire da un po’ più lontano, per la precisione dal 2007, quando fosti vittima di un grave incidente motociclistico. Cos’hai imparato da quella circostanza e, soprattutto, che sapore ha dato ai tuoi successi?
Nel 2007 mi sono avvicinato così tanto a perdere tutto, e anche la vita, che quando mi sono rialzato 100 giorni dopo mi sono ritrovato ad assaporare il quotidiano in un modo diverso. Ero il più forte e mi sono ritrovato infermo, ma al posto di assaporare il sapore della terra mi sono rimboccato le maniche e ho provato a risalire la china. Dopo quell’incidente ogni successo ha un gusto diverso, perché sono certo di averli guadagnati con vero sacrificio.
D’altronde, come disse Goethe, non è forte chi non cade mai, ma colui che cadendo ha la forza di rialzarsi. Personalmente sono un fan accanito di Rocky, perché credo che sia la rappresentazione migliore di questa metafora. C’è un personaggio del cinema o della letteratura a cui sei particolarmente affezionato e che, secondo te, incarna questo spirito?
Ogni tanto mi dicono di assomigliare a Sylvester Stallone, e questo fa bene al mio ego! I giorni prima delle gare, Rocky I, II e III me li rivedo sempre. Mi ritrovo un po’ nel solitario allenarsi per un sogno che arriva con sacrifici, motivazioni e una lotta con se stessi prima che con gli avversari. Mi piace Rocky, farei volentieri la sua controfigura!
Nella vita, avere “gli occhi della tigre” ti consente di raggiungere risultati apparentemente insperati. Quanto contano le motivazioni, nella tua carriera di atleta?
Le motivazioni sono la benzina dell’atleta. Senza motivazioni non si fanno ore al freddo o sotto i bilanceri dei pesi o a soffrire per i calli e gli infortuni che sono parte della storia dell’agonista. Contano così tanto che quando calano è meglio fermarsi per non cadere in un limbo di sensazioni negative e sconfitte che potrebbero rovinare tutta la passione creata negli anni.
In molti, compreso il sottoscritto, hanno imparato a conoscerti soltanto oggi, da campione olimpico. In realtà, basta andare sulla tua biografia di Wikipedia per scoprire che il tuo palmares conta decine di medaglie. Ci spieghi come fa, un giovane italiano, a dribblare la malattia per il calcio e ad avvicinarsi ad una disciplina come il K-1?
Il calcio è il gioco più bello del mondo, ma nel gioco di squadra io sto stretto. A me piace vincere o perdere da solo, dove la piena responsabilità del risultato è mia! Negli anni ho fatto anche nuoto e judo, poi mi sono innamorato della natura, stavo molto meglio all’aria aperta.
Della tua vittoria di Londra ricordiamo tutti l’esultanza: nei tuoi occhi si leggeva un mix d’emozione ed orgoglio per l’impresa che avevi appena compiuto ma anche, credo, per il fatto che stessi rappresentando l’Italia ed il Tricolore. Ecco Daniele, vorrei chiudere quest’intervista così come l’ho cominciata, ovvero citando la frase che campeggia sulla tua homepage: “Noi italiani sappiamo sempre fare la differenza” e domandandoti cosa manchi, secondo te, alla nostra amata Italia per superare questo momento e tornare a fare la differenza.
Manca la voglia di primeggiare, gli adulti si sono adagiati e aspettano con indifferenza quello che capita. I giovani invece hanno perso la speranza e la fiducia in chi ci governa, lottano per utopie poi scappano all’estero. Personalmente credo molto nella storia del nostro Paese che ha dimostrato sempre di sapersi rialzare, ma la forza è sempre partita dal basso. Se aspettiamo la classe politica fannullona o l’Europa che prende tanto e da poco, stiamo certi che poco cambierà. Se invece puntiamo sui giovani che ancora credono nei valori della famiglia, dell’amor di Patria e del lavoro per crescere, allora forse c’è anche speranza per dare al popolo italiano la qualità di vita e la riconoscenza che si merita!
Leggi l’intervista su Il Giornale d’Italia del 30 ottobre 2012