di Alessandro Nardone – Chi la vorrebbe «alla Le Pen» e chi ne preferirebbe una «alla Sarkozy». Molti di questi, nel recente passato, sono riusciti nell’impresa d’idealizzarla in Berlusconi e financo in Monti e Alfano; una sorta di manipolo di rabdomanti che, anziché tentare di trovare acqua o metallo, vaga alla spasmodica ricerca di un padre politico disposto ad accoglierli nella propria dimora trattandoli alla stregua dei figli naturali, magari facendo propri gli usi e i costumi degli ultimi arrivati. Un’illusione tira l’altra, verrebbe da dire. Eppure, quantomeno dall’esperienza, dalla vita vissuta, qualche briciolo di insegnamento dovremmo essere tutti in grado di assimilarlo. Fatto sta che stiamo assistendo a un altro colpo di fulmine che, con ogni probabilità, si rivelerà per quello che è, ovvero l’ennesima infatuazione, peraltro nemmeno corrisposta. D’altra parte, se è vero che le unioni di comodo sono destinate a finire miseramente, come lo definireste un rapporto che non nasce in nome di un autentico sentimento d’amore, ma soltanto perché «non c’è alternativa»?
Non c’è alternativa: quante volte mi è toccato sentirla, questa frase. Tante, troppe, soprattutto se penso che, a ognuna di esse, corrisponde un rospo ingoiato controvoglia.
Scelte politiche palesemente in conflitto con il comune sentire della base dell’allora Partito? Non c’è alternativa. Sciogliere Alleanza Nazionale nel Pdl? Non c’è alternativa. Ostinarsi a difendere scelte indifendibili come, giusto per citare un esempio, la politica dei nominati? Non c’è alternativa. Rinunciare alle primarie? Non c’è alternativa.
Volendo, potrei continuare per ore, anzi proprio mentre scrivo mi è venuto in mente che #noncealternativa potrebbe essere un bellissimo hashtag da utilizzare per quella che potremmo definire una memory storm, una rinfrescata di memoria collettiva, che non fa mai male.
Ma torniamo a noi. Da quando Matteo Salvini ne ha preso le redini, la Lega sembra scomparsa, nel senso che si nomina quasi unicamente il leader e praticamente mai il partito. Questo trend sta facendo sì che in molti percepiscano Salvini come una sorta di “io assoluto”, a se stante, e perciò avulso da qualsivoglia legame partitico. Intendiamoci, riconosco a Matteo Salvini grandissimi meriti, soprattutto per quanto riguarda le sue doti comunicative, ma anche per alcune delle sue battaglie. Certo, se dicessi che il suo linguaggio mi entusiasma mentirei spudoratamente, ma non fatico a dire che lo vedo come uno dei pilastri nella prospettiva di un centrodestra (finalmente) nuovo ma, da qui ad annettermi alla Lega Nord, c’è di mezzo il mare, anzi, il Po.
Personalmente mi piace conservare una visione (e un’ambizione) diversa rispetto a quelli che oggi dicono che a Salvini «non c’è alternativa». Ad esempio, se è vero che Salvini dice cose condivisibili per chiunque si ritenga di destra (lo ha recentemente ammesso lo stesso Fini, a margine di un sondaggio fatto attraverso il sito di Liberadestra), per quanto mi riguarda la soluzione non è iscriversi al suo partito, ma ricreare una formazione politica in grado di dirle con la medesima efficacia comunicativa (senza, è bene metterselo in testa, non si va da nessuna parte) e, auspicabilmente, con uno stile diverso. Certo, mi rendo conto che la prima strada sia la più semplice, quand’anche, per taluni, quella maggiormente “sicura”, ma pur sempre di ripiego si tratta.
Altro esempio. In molti casi, come dicevo all’inizio, ci si divide su questioni puramente teoriche, quando ancora non si è badato alla sostanza; c’è chi si arrovella in discussioni surreali il cui fine più alto è spaccare il capello in quattro, senza che si renda conto che manca la materia prima su cui discutere, ossia il partito. Un po’ come se due senzatetto si azzuffassero per stabilire se sia meglio comprare una Maserati o una Porche. Anche in questo caso, non credo sia da alieni pensare ad una nuova Alleanza Nazionale all’interno di cui ritrovarsi partendo da un insieme di valori cosiddetti irrinunciabili e capace, allo stesso tempo, garantire pluralismo di vedute al suo interno.
Insomma, dico io, è ora che, anziché continuare a girare il coltello nella piaga delle divisioni, cominciamo a parlare di ciò che ci unisce ché, poi, è l’unico modo per ambire a un grande partito di destra in grado di competere per il governo del Paese di per se stesso, senza doversi per forza aggrappare alla sottoveste di chicchessia illudendosi che una volta conquistato il potere faccia le nostre veci.
Starò chiedendo troppo? Forse, ma non sono da solo.
Caro Alessandro ti consiglio di leggere (quasi sicuramente lo hai già fatto) l’intervista di Marcello Veneziani sul Corriere della Sera di oggi 2 Marzo 2014.
Salvini ha un solo merito , quel di aver riacceso “la fiamma” della speranza, di una destra nazionale e popolare.
GIUSTO non diventare leghista , ma anche giusto non fare gli schizzinosi!