di Alessandro Nardone – Dunque, da una parte abbiamo l’Europa, a cui viene assegnato il Nobel per la Pace, ma che continua a razzolare malissimo, alla stregua di un er Batman qualsiasi. A cosa mi riferisco? Ad uno spreco di 200 milioni di euro all’anno, uno scherzetto che va avanti da decenni e che, nel solo periodo che va dal 2014 al 2020, costerà ben 1 miliardo e quattrocento milioni di euro tutti, ovviamente, a carico dei popoli europei, of course. Avete capito bene, mentre Monti e tutto il sistema partitocratico ci purgano in nome del rigore, in Europa si permettono ancora di mantenere due sedi per il Parlamento, una a Bruxelles ed una a Strasburgo. Una vera e propria indecenza.
Già, ma a cosa servono due sedi? Assolutamente a nulla, se non ad accontentare la Francia. Ma vediamo come funziona. Una volta al mese, i 745 deputati, insieme ad assistenti, portaborse e relativi armi e bagagli, viaggiano da Bruxelles a Strasburgo, dove stanno quattro giorni per svolgere la seduta plenaria, ovvero gli interventi per poi tornare a Bruxelles per votare. Questo significa che, ogni mese, oltre 5 mila persone percorrono i circa 450 chilometri che separano le due sedi: qualcuno in aereo, altri in pullman o in treno.
Il 23 ottobre scorso, una larga maggioranza dei deputati europei ha votato a favore di un ritorno ad un’unica sede, ma il Consiglio Europeo continua a non pronunciarsi. Proprio qui sta l’inghippo perché, per eliminare una delle sedi, è necessario modificare il trattato di Lisbona e, per farlo, serve l’unanimità del Consiglio, cosa impossibile, visto e considerato che la Francia – guarda un po’ che caso – ha già annunciato che porrà il veto. Ergo, i parlamentari europei hanno cavalcato mediaticamente la cosa, sapendo che tanto, poi, non se ne sarebbe fatto nulla.
Dall’altra parte, invece, ci sono gli Usa e la Fed, che ha annunciato essersi sbarazzata dell’inflazione, non considerandolo più il punto di riferimento principale. Come? D’ora in poi, tassi d’interesse saranno agganciati all’occupazione, che diventerà il primo riferimento per la politica monetaria, ergo, nessuna stretta finché i senza lavoro saranno sopra al 6,5%. Esattamente la stessa direzione intrapresa da Mark Carney, governatore della Banca Centrale Canadese e, dal luglio prossimo, alla guida della Banca d’Inghilterra.
Dopo questa svolta, l’ancoraggio all’inflazione – che tentarono di superare distinguendo tra inflazione “core” (ovvero al netto dei prezzi alimentari ed energetici, un’assurdità) e prezzi al dettaglio – pare essere diventato di colpo un pezzo da museo, per altro tarocco, insomma, un “puro artificio” per stare alla definizione che Keynes utilizzò per definire il legame tra oro e moneta cartacea.
In principio fu la Cina, con l’invasione delle sue merci lavorate che costavano meno delle materie prime, a “deflazionare” l’Occidente. Volendo fare una battuta, verrebbe da dire che ora l’Occidente risponde con la stessa moneta. Superfluo osservare che, in questo quadro, tra le Banche Centrali è la BCE quella più in difficoltà, per il semplice fatto che ci si ostina a non volerla sbrigliare dai vincoli – tanto cari a frau Merkel – di Maastricht, consentendole di stampare moneta per far scendere la disoccupazione al di sotto della fatidica soglia del 6,5%.
Questa sì, che sarebbe una vera rivoluzione in grado d’invertire la tendenza per noi, ma anche per la Spagna, la Francia, il Portogallo e la Grecia. Ovvio che i paesi nord europei, con la Germania in testa, vedrebbero una soluzione del genere come fumo negli occhi, specie in prossimità delle elezioni. Intanto, mentre Monti e chi, come lui, dovrebbe difendere gl’interessi della nostra Nazione, anziché quelli dei suoi amici banchieri, l’inflazione continua a colpire, tanto nel settore immobiliare, quanto per le materie prime. Hai visto mai che in Europa rispondano decidendo di aprire una terza sede del Parlamento, così, per favorire l’occupazione.